Come si dice?…..60 anni e non sentirli. Chi lo avrebbe mai detto che quella scatola di latta avrebbe fatto parlare così tanto di sé e per un periodo così lungo? 60 in campo automobilistico sono un’eternità, ma probabilmente mai nella storia, un’automobile ha rappresentato un modo così rivoluzionario e trasversale di interpretare il movimento sul pianeta, accessibile, economico, essenziale e tremendamente anticonformista. Assolutamente snob la Mini, tanto da essere assunta a fenomeno di costume. Tanto da poterla considerare non una semplice automobile ma un magistrale oggetto di industrial design.
Era il 1956 quando in seguito alla crisi di Suez, nel Regno Unito si generò un pullulio di micro vetture, spesso a tre ruote, per contenere costi e consumi di benzina. Era l’epoca della minuscola Isetta, prodotta da BMW su licenza della Iso Rivolta, che con il suo unico portellone anteriore rappresentava la risposta ad una preoccupante carenza di combustibile. George Harriman, presidente della British Motor Corporation, corse ai ripari incaricando Alec Issigonis di progettare una piccola vettura a 4 ruote, 4 posti, dove infilare il 4 cilindri aste e bilancieri che già muoveva le Austin A35.
E fu il genio. Raramente tanti elementi rivoluzionari si erano visti concentrati in una unica vettura, per giunta di concezione economica: motore trasversale e trazione anteriore, ruote indipendenti con elementi elastici in gomma, minimi sbalzi della carrozzeria per contenere le dimensioni, cerniere delle porte esterne e saldature a vista per contenere i costi, volante quasi orizzontale e piccole ruote da 10 pollici per non ingombrare spazio nell’abitacolo. Si narra che lo stesso Issigonis prese 4 nerboruti operai della fabbrica, li fece sedere in terra e disegnò attorno a loro l’ingombro minimo che avrebbe dovuto avere la nuova vettura….altri tempi. Insomma….la Mini esce sulla scena. Debutta nell’agosto del ’59 con i marchi Austin (Austin Seven) e Morris (Morris Mini Minor) in allestimento standard e De Luxe. In 305 cm di lunghezza e 140 di larghezza trovano posto 4 persone, 150 litri di bagagli e un impressionante numero di vani e scomparti all’interno dell’abitacolo. La stessa plancia è costituita da una mensola a tutta larghezza, per riporre oggetti occhiali cartine stradali….con al centro un grande strumento di controllo. Fantascienza.
Dopo qualche tentennamento, il mercato la desidera, la comprende e la adora. Bassa, agile come un gatto, divertente e svelta, economica, diventa in poco tempo un oggetto del desiderio, dallo studente alla signora bene. I parcheggi dei supermercati, delle università, delle strade più chic si popolano di Mini di tutti i colori. Nel 1960 viene lanciata la versione familiare: Austin Seven Countryman e Morris Mini Minor Traveller, più lunghe e dotate di un doppio portellone posteriore. Poco dopo alcune versioni vengono arricchite da listelli in legno che fanno il verso alle pantagrueliche Giardinette americane degli anni ’50. La Mini è sempre più elegante….è un modo diverso però di intendere l’eleganza. Informale, sussurrata, allegra.
La Mini Cooper Mk1: rostri ai paraurti, pneumatici maggiorati, plancia con elemento ovale e tre strumenti, volante sportivo e sedili più confortevoli
Nel 1961 arriva l’elaborazione di John Cooper, titolare dell’omonimo team di Formula 1. Incrementa la cilindrata da 850 a 998 cc, monta due carburatori SU e i freni a disco anteriori, rivede l’assetto. I cavalli diventano 55, non tanti. Ma la Mini pesa poco, è sempre più agile e nervosa e nel 1963 sbanca il Rallye di Montecarlo nella sua classe. Diventa il mito. Poi arriva la Cooper S con cilindrata portata a 1071 cc e potenza di 71 cavalli e la Mini continua a vincere dando grattacapi a vetture dalle potenze ben superiori. Il trucco è nella distribuzione dei pesi. Non ci sono masse a sbalzo, lo sterzo è diretto: in curva dai gas e la macchina allarga, togli gas e la macchina stringe. Una tecnica assolutamente spiazzante che permette inaudite performances, sui tornanti dei rallye come sulle strade normali.
La Mini viene collegata in qualche modo anche alle profonde rivoluzioni sociali e di costume della fine degli anni 60: la minigonna di Mary Quant, il ’68, i figli dei fiori, la moda psichedelica, i movimenti studenteschi, da qualche parte una Mini c’è sempre. Anche perché è spesso l’auto di personaggi famosi come Paul McCartney, Peter Seller, John lennon, Steve Mc Quuen, Charlotte Rampling, Issigonis ne regalò una a Enzo ferrari, lo stilista Giorgio Gucci. Si fa a gara per chi ha la Mini più bella ed esclusiva.
A metà degli anni 60 l’Innocenti ottiene la licenza per montare la Mini in Italia. Inizia con Mini minor 850, poi passa alla Cooper 1000, arricchisce l’offerta via via migliorandone la dotazione: Mini mk2, mk3, Mini 1000 e Mini 1001. Anche le versioni italiane delle Cooper riscuotono grande successo, sia per le finiture nettamente migliori delle versioni inglesi che per il prezzo molto inferiore. Dalla Cooper mk1 alla Cooper 1300 Export.
Uno degli aspetti più interessanti della Mini, è la sua propensione alle personalizzazioni, le più svariate bizzarre ed estreme. Dal tuning esasperato che coinvolge meccanica e assetti trasformandola in una belva da domare a quello più raffinato, che adotta preziosi legni per arredare gli interni, velluti, pelle e accessori destinati a vetture di rango ben superiore. Ecco la trasversalità della Mini, un fenomeno di costume che ancora oggi fa girare la testa e che probabilmente non passerà mai di moda.
Nel 1976 l’Innocenti cessa la produzione delle Mini classiche concentrandosi sulla nuova versione disegnata da Bertone, Mini 90 e Mini 120. Ma in Inghilterra la classica si continua a produrre e nei primi anni ’80 la Austin si organizza per riproporla sul mercato italiano, nelle versioni E ed HLE. La perfida Cooper riapparirà qualche anno dopo insieme alla Mayfar più curata e lussuosa. Nel 1993 plana sui mercati la versione forse più folle tra quelle proposte dalla casa madre: la cabriolet. Mossa dal 1300 della Cooper, vanta sibaritici interni in pelle, legno e velluto, passaruota allargati e paraurti in resina (si…. orrendi) e una capote coordinata al colore esterno ad azionamento idraulico. Costa una fucilata, è delicata, la visibilità posteriore è inesistente, dietro i posti sono ancora più scomodi…..tant’è, le vendono tutte e trovarne una oggi è come vincere alla lotteria.
Le ultime versioni inglesi, le British Open con tetto apribile e le Sport Pack con assetto allargato, dotate di miglioramenti meccanici, di barre anti intrusione nelle porte, di airbag, andranno a ruba e oggi le loro quotazioni sono in costante crescita. Nel 2000 la produzione cessa definitivamente, troppo costoso produrla e soprattutto troppo rigide le normative sulla sicurezza che imporrebbero modifiche impossibili alla creatura di Issigonis.
Il significato storico e sociale della Mini è fuori discussione e chi ne ha stretto il volante tra le mani (il sottoscritto più volte avendone possedute ben tre) ha imparato ad amarla o ad odiarla, subito. E’ vero, è un prodotto inglese e come tale va trattato, cioè con i guanti di seta. Meccanica datata e delicata, i semiassi si sbriciolano come grissini in una insalata russa, la marmitta tocca i dossi, le sospensioni trasmettono con malefica allegria tutte le asperità del fondo stradale e alcuni ricambi costano come un trapianto di rene. Ma la Mini rimane un dogma, è così punto. Provate a uscire una sera in settembre, abbassare i vetri, stringere il volante e affrontare i tornanti di una strada in collina, inanellare una curva dopo l’altra, appiattiti a terra ancorati all’asfalto come un geco. Vi verrà da sorridere, e non vorrete smettere più.
E se proprio non resistete al desiderio e il vostro ego ha bisogno di smisurato nutrimento, vi suggerisco di rivolgervi alla David Brown Automotive, che le vecchie Mini le prendono, le aprono, ci schiaffano dentro un telaio tutto nuovo, il motore da 1275 cc dell’ultima versione ma con una scodellata di Cv in più, riorganizzano gli interni dotandoli di dotazioni contemporanee e materiali personalizzabili….insomma, una Mini classica ma nuova scintillante. Il prezzo? Non è una domanda molto british….